VIVIR ES UN'OBRA MAESTRA

Omaggio a Jorge Eduardo Eielson (1924-2006)

NOTA DEL TRADUTTORE

La cucaracha non è uno scarafaggio. E’ un insetto nero, più sottile e veloce dello scarafone, che si muove seguendo percorsi geometrici come una palla da biliardo e qualche volta salta. Fa pensare più facilmente al ritmo di una canzone popolare che all’angoscia di un racconto di Kafka. E, infatti, tutti sanno che "la cucaracha/più non riesce a camminar/perché non tiene/perché le manca/marijuana da fumar".
Può essere, dunque, buona compagna della felicità di un artista peruviano che, sotto il letto dove tutti si riproducono e muoiono – e il povero Gregor Samsa vive la sua tragica metamorfosi – vuole scavare la vita per trovarne il senso e rinvenirvi la propria anima.
Quella di Jorge Eduardo Eielson è, direi, la gioia di una ricerca che contempla il divino nel concreto e sente il sublime già presente in tutto ciò che è. Può, così, scorrere – sotto le cose, sotto il letto, sotto le foreste di simboli del maestro Baudelaire – dove alberga lo spirito della terra. Con amore e senza tema di naïveté.
Non è, Jorge, un poeta difficile: le sue parole sono semplici e le sue immagini chiare. Trasmettono al lettore una gioia che non prescinde dal dolore ma lo accoglie e lo sa trasformare. Al traduttore non pone gravi problemi di interpretazione. Solo quello di trovare un ritmo adatto nella lingua d’arrivo. Avendo qualche accortezza, come non tradurre "cucaracha" con scarafaggio. Rovinerebbe tutto.

Alessandro Magherini (alessandro.magherini@rcm.inet.it)


Adoro le tue gambe nude

Adoro tutto ciò
Che fra di loro nasce e muore
Una sorgente d’acque benedette
Al centro una farfalla
Tiepida e purpurea
Che chiamiamo vita.
Adoro
Le tue cosce quando urini
Le tue ginocchia alte quando è giorno
E nella notte piegate
Con odore d’erba
Terra bagnata
E cavallo

Gli uomini d’affari non respirano
Non li coglie il singhiozzo non conoscono
Le magnolie.
A malapena riescono
A urinare e cacano quando possono.
Non amano nessuno e nessuno
Li ama.
Non v’è animale più veloce
Né più prossimo alla morte
Di questi vuoti esseri
Non v’è cosa che non desiderino
Né che sia loro negata ma al contatto
Tutto diventa nulla
Gli uomini d’affari
Son così rapidi e ottusi
Che non conoscono
L’ozio

Brillante e trasparente maestro
Fu il mio mare.
Nuotando
Nelle acque sue salate in vetta
Alle alte onde ho appreso a vivere
In terra.
A capire
Che il silenzio può essere tutto
A leggere le stelle con chiarezza
Senza confonder l’acqua con la schiuma
Né la schiuma con la vita
Nuotando solamente ma piangendo pure
Ho scoperto il sale che ci univa
E il pesce azzurro della nostra origine
Completamente solo
Con le onde

C’è una statua a Firenze
Che nessuno conosce
E tuttavia mi offre
L’intero marmo del suo corpo
E lo stanco suo sorriso
Io l’abbraccio con affetto
E lei mi dice all’orecchio
Che anch’io sono la statua
Di un artista ignoto
E che in più respiro

Canto la bellezza della mia caffettiera usata
Vera clessidra
In cui termina il mio tempo
Ho appreso grazie a lei
L’amarezza e lo zucchero del vivere
Grazie a lei ho incontrato
Il sole posato sul cucchiaio
E tutto il firmamento in fiamme
Per l’indescrivibile fragranza
Della mia caffettiera

I libri che preferisco non sono di carta
Ma d’erba di legno
Di alabastro di misteriose materie
Che forse non esistono
Antichi libri di pietra
Impressi da sangue e singhiozzi
Scritti dalla pioggia
E dai secoli che nessuno legge
Né conosce.
Però il mio libro prediletto
Non è di cristallo né di carbone
Ma di carne e osso ha pagine
Di seta come le tue guance
Ed è sacro

C’è gente che non ama la gente
Perché è differente
Perché si veste di fiori
E ha occhi brillanti
O perché adora un coccodrillo
Invece di un frigorifero
O perché ancora canta lodi al sole
Quando sorge e si inginocchia
Quando cala.
Gente piena d’amore
Per la gente simile a tutta la gente
Quando nel firmamento
Non c’era un frigorifero
Ma soltanto
Un coccodrillo

Tutto il mondo si riproduce e muore
Su un letto.
Io vivo felice
Circondato di cucarachas e schiuma
Sotto il letto

Contributo pubblicato su www.cerchioazzurro.com (2004)
ARCHIVIO CERCHIO AZZURRO




Cristiano Mattia Ricci
PERCHE' JORGE EDUARDO EIELSON

I
La scoperta del suo lavoro è avvenuta abbastanza casualmente o, come Jorge dice, attraverso l'opera d'arte e la sua selezione naturale. Nel 1998 ero obiettore di coscienza presso la Biblioteca civica di Sesto San Giovanni, e in quell'occasione ho dovuto presidiare a una mostra della collezione comunale d'arte moderna e contemporanea, sino ad allora mai esposta. L'iniziativa ebbe scarsissimo successo di pubblico, ma in compenso riuscii a innamorarmi, letteralmente, di alcune opere d'arte, che nel silenzio della sala e dell'assenza di pubblico ebbi l'occasione di osservare per più giorni.
Tra queste, mi soffermai ripetutamente su un Quipus bianco di Jorge Eielson, del '70.
Non avevo mai sentito nominare questo artista, eppure doveva avere avuto un percorso ben articolato, intuivo, e contatti diretti con gli artisti gravitanti intorno al movimento spazialista italiano. Mi sembrava che il Quipus andasse però oltre queste semplicistiche affinità con l'arte italiana contemporanea, che avesse maggiori valenze poetiche e una forma più originale e rarefatta d'esotismo. Trovavo, nel Quipus, un rimando sussurrato ad altri tempi e culture.

II
Frequentando abitualmente, per interesse personale, la galleria d'arte Lorenzelli di Milano, per coincidenza ebbi l'occasione di vedere una mostra di Jorge Eielson dal titolo La scala infinita.(http://www.lorenzelliarte.com/). L'artista presentava, per l'occasione, un'installazione nata da una performance fatta all'inaugurazione della mostra; potevo così ammirare l'opera e conoscere una nuova sfaccettatura del suo lavoro. Non si trattava quindi di sola "pittura"; la sua ricerca si apriva, pur con rimandi ai Quipus, alla performance e all'installazione.
Era indubbiamente più versatile, e difficilmente catalogabile nella corrente spazialista a cui avevano aderito Castellani, Bonalumi, Scheggi, ecc.
Nella mostra di Lorenzelli erano anche presenti una serie di quadri dal titolo Nodi come stelle. Stelle come nodi: ancora una volta eravamo in altro territorio dal Quipus bianco, ma si intuiva un ideale rimando ad esso.
L'artista, forse, cambiava saltuariamente registro, oppure portava avanti con libertà e da più tempo soluzioni differenti; non potevo esserne ancora certo.
Erano, questi quadri, colorati e astratti, ma con forma meno razionale; erano opere "liriche", di un lirismo musicale.
Chiesi alla ragazza che accoglieva i visitatori chi fosse più precisamente Jorge Eielson, e lei mi rispose che si trattava di un grande artista, anche poeta e scrittore.

III
Fu per me l'inizio: dovevo saperne di più.
Cercai, attraverso Internet, informazioni sulla sua vita e l'evoluzione del suo lavoro; riuscii persino a risalire all'indirizzo del suo domicilio e iniziai a fantasticarne la conoscenza.
Passò un po' di tempo dalla mostra alla galleria Lorenzelli, ed ero preso incessantemente da occupazioni di altra natura, fastidi di natura pratica. Saltuariamente, ma con imprevista puntualità, ricordavo la sua mostra da Lorenzelli, il Quipus "sestese".
Da mesi ero iscritto all'Istituto Cervantes di Milano, che mi spediva a mezzo posta documentazione sulle iniziative culturali promosse dal centro. Mi sentivo sempre più attratto dalla cultura spagnola e latinoamericana in genere; sempre meno da quella europea e italiana in particolare.
Un giorno mi arrivò la notizia di una conferenza di Eielson presso l'Istituto; di seguito, riporto un estratto redatto dall’Istituto stesso, con una breve descrizione della conferenza avvenuta, e riprendo a ricordare:

IV
"Presso l’Instituto Cervantes di Milano, mercoledí 31 ottobre, i Professori Martha Canfield e G. Bellini hanno presentato l’opera del poeta peruviano Jorge Eduardo Eielson, in un convegno organizzato dal Direttore dell’Istituto prof. Iñaki Abad e dal Console Generale del Perù Luis Mendívil Canales. L’occasione ha permesso di approfondire l’opera dell’artista, nato a Lima nel 1924 e residente in Italia da quasi cinquant’anni. Il prof. Bellini ha sottolineato la sensibilità musicale percepibile nella poesia dell’autore, nonché la capacità di attingere il sublime attraverso l’uso raffinato dell’accostamento di aggettivi folgoranti a sostantivi quotidiani se non addirittura di tono dimesso. Il lessico dell’artista è volutamente austero, il pensiero reso con parole esatte, spesso ripetute fino ad ottenere un effetto ipnotizzante, che attraverso l’orecchio arriva al cervello. Il linguaggio riflette una visione del mondo profonda, sorretta da una disciplina che il poeta ha acquisito anche con la pratica della filosofia zen, come egli stesso ha affermato nel corso della serata. La prof.ssa Martha Canfield ha invece sottolineato le affinità con l’espressione più propriamente poetica dell’artista e quella visuale, avvicinando il tema preferito nei quadri da Eielson, cioè il nodo, al concetto del labirinto. Gli organizzatori, attraverso i loro interventi, hanno contribuito a contestualizzare l’opera del poeta peruviano, che ormai ha da tanti anni scelto Milano come sede della propria vita e della propria attività".

V
Eravamo, con Sergio Lagrotteria, agli albori del piccolo e allegro sito Internet del Cerchio Azzurro; avevamo in mente di fare ricerca, non in senso artistico, bensì di andare a "scovare" quelle esperienze del Novecento poetico e artistico meno emerse. Decisi quindi di andare a conoscere Eielson personalmente, e proporgli con coraggio un'intervista.
L'artista fu molto disponibile nei miei confronti, e una settimana dopo andai nella sua casa-studio di via Torino. Iniziai a conoscerlo progressivamente in maniera più approfondita, ad avere da lui informazioni dirette sul suo lungo e nomade percorso artistico. L'uomo era delizioso e incredibilmente colto.
Da quel giorno, con frequenza sempre maggiore, ci incontriamo; la modalità è rimasta pressoché inalterata: ci sediamo, io su un divano e lui sulla poltrona di fronte, e parliamo per un paio d'ore.
Eielson è anche un ottimo poeta, con referenze eccezionali, e ha avuto una vita ricchissima di avvenimenti e frequentazioni con alcuni tra i massimi artisti e poeti della nostra epoca. Presto mi dimenticai dell'intervista, e lui non mi chiese più nulla.
Continuammo ad incontrarci per il piacere di parlare d'arte e poesia, di politica e attualità.
Posso dire che, nonostante il suo reale eclettismo e il suo autentico dono artistico su più versanti, Eielson mi è sempre sembrato principalmente un vero appassionato e conoscitore d'arte visiva contemporanea, ad eccezione dei colti e continui rimandi, nel suo dialogo, all'arte pre-colombiana.

VI
Oggi è un artista ormai anziano, che segue con forte interesse quello che nell'arte contemporanea e nel mondo accade.
E' un uomo con non comuni idee proprie, elegante nei modi e sottile nel dialogo.
Nei riguardi dell'interlocutore mostra una rara e particolare attenzione, un sincero interesse.
Ritengo che abbia doti umane e artistiche straordinarie, e che sia un artista di caratura maggiore rispetto a molti artisti della sua generazione, più conosciuti in Italia e all'estero. Nel mondo, la sua opera letteraria viene pubblicata in prestigiose e diffuse edizioni, molto meno in Italia.
Eielson ha esposto le sue opere nelle più importanti gallerie ed esposizioni d'arte del mondo; il suo lavoro sui nodi e le tensioni che da essi si generano viene studiato sovente anche dal punto di vista scientifico.

VII
Un giorno gli domandai perchè avesse deciso di vivere in una brutta città come Milano, dopo avere vissuto per anni a Roma e Parigi; lui mi disse che voleva semplicemente stare tranquillo, e che questa era una città che di lui, ad eccezione di poche persone, non si era accorta.
Jorge quando parla d'arte torna giovane, a dispetto della natura diviene ragazzo e spiritoso.
Non smette mai di avere nuove idee e progetti artistici, conosce la stanchezza fisica, mai quella mentale. Non desidera altro che dare continuità al suo percorso, alla sua arte.
Quando lo incontro e ci sediamo, ha sempre qualcosa che intende realizzare. Ultimamente è molto impegnato a curare le nuove edizioni del suo lavoro letterario, e più in generale la sua opera. Mantiene una fitta e scrupolosa corrispondenza con editori e studiosi.
Di poesia si parla poco, ma ho il sospetto che questo abbia ancor più a che fare con la sua intimità. In Eielson, un aspetto tra i più rilevanti è una forma di conquistata libertà. E' un uomo che ha vissuto d'arte, accettando molto poco i compromessi.
Ha preferito la libertà individuale e artistica a una fama senz’altro più caotica.
Ha scelto l'intelligenza e il silenzio, rispetto a una sempre più diffusa stupidità anche negli ambienti culturali e artistici .
Jorge Eielson è dunque un uomo e un artista libero. Un artista che ha il dono di fare della grande arte in più discipline, con spontaneità e leggerezza.

VIII
Di seguito, riporto un estratto dell'intervista, purtroppo mal registrata, e in molte interessanti parti del tutto non registrata.
Problemi miei con le tecnologie, anche più elementari.
Garantiamo la trascrizione scrupolosa di quella minima parte registrata. Descriviamo abbastanza fedelmente quella parte, la maggiore, purtroppo perduta. Aggiorneremo come "work in progress" il Cerchio Azzurro con materiale anche recente sul suo lavoro multidisciplinare.
Iniziamo con la traduzione di sue poesie ad opera di Alessandro Magherini, e con la breve trascrizione dell'intervista; di quel poco che ne rimane.
Un ringraziamento in particolare alla galleria Niccoli di Parma, per le immagini di alcune belle opere di Jorge Eduardo Eielson (http://eielson.niccoliarte.com/) e un consiglio per chi fosse interessato ad approfondire la conoscenza del suo lavoro: http://eielson.perucultural.org.pe/.


INTERVISTA A JORGE EDUARDO EIELSON
Questa intervista è stata realizzata da Cristiano Mattia Ricci nella primavera 2002, nell’abitazione milanese dell’artista e poeta peruviano Jorge Eduardo Eielson. Dopo alcuni mesi di frequentazione, cominciata con un incontro all’Istituto Cervantes di Milano in occasione di una serata a lui dedicata, Ricci ha chiesto all'artista se fosse disposto a rispondere ad alcune domande. La richiesta è stata da lui accolta con grande disponibilità. Ne è nata una conversazione amabile e informale, e allo stesso tempo ricca di argomenti, spunti di riflessione, e soprattutto straordinarie testimonianze di una vita dedicata, in tempi eccezionali che paiono ormai lontanissimi, all’arte e alla cultura. Il documento di un’esistenza fuori dal comune, e tuttavia vissuta con discrezione e modestia, come sempre avviene da parte delle autentiche grandi personalità. Purtroppo, la registrazione dell’intervista non ha dato risultati eccellenti. E’ stato quindi possibile trascriverne fedelmente solo la prima parte, mentre per la seconda Cristiano, mi ha riferito degli argomenti trattati, e io ho cercato a mia volta di riassumerli nella maniera più esaustiva possibile per i visitatori del nostro sito. Ci scusiamo per l’involontaria incompletezza di questo lavoro, e ci auguriamo di essere riusciti comunque a salvare tutto il possibile delle parole di un artista che ci onoriamo di conoscere, nonostante l’eterogeneità dei materiali qui di seguito proposti. Prima di proporveli, ecco una sintetica nota biografia su Jorge Eduardo Eielson (tratta dall’edizione Le Lettere di Poesia Scritta di J. E. Eielson, a cura di Martha Canfield, principale studiosa di questo artista).

Jorge Eduardo Eielson (Lima, 1924), una delle voci poetiche più singolari del Novecento ispanoamericano, costituisce un caso eccezionale di pluriespressionismo artistico e letterario. Come poeta evolve dalle prime prove neobarocche e surrealiste verso soluzioni visive e multimediali per tornare poi alla poesia scritta drammatica a narrativa. Come pittore, scultore e autore di installazioni, a partire dalla Biennale di Venezia del 1964, ha esposto in sedi prestigiose (MOMA di New York, Salon de Mai a Parigi, Documenta di Kassel ecc.). Simbolo iterativo tanto delle sue evoluzioni poetiche che delle creazioni artistiche è il nodo, autentico luogo d’incontro dei suoi codici espressivi (…).

C.R. - Quali sono, secondo Lei, le ragioni che spingono l’uomo a produrre arte? Crede che queste ragioni siano le stesse dalle società arcaiche alle nostre società evolute, oppure che ci siano oggi motivazioni profondamente differenti?

J.E. - Beh, questa domanda non ha una risposta univoca, è talmente complessa… Le motivazioni forse sono praticamente le stesse, ma molto modificate nel mondo in cui viviamo, chiaramente… E’ l’uomo che davanti al cosmo si domanda chi è; è la stessa cosa che succede col Sacro: non è che non ci sia più, è che soltanto si è modificato, è molto più segreto, più interno…
C.R. - Cosa può fare il poeta per questo mondo, a prescindere dalla necessità individuale di fare arte? Crede che questo serva a qualcosa?
J.E. - La prima cosa che voglio rispondere è che non serve a niente, ma mi sembra un atteggiamento cinico… Io penso che ci sia sempre qualche cosa, qualche motivo… Perché non pensare, per esempio, che la poesia sia una forma estrema, diciamo dell’evoluzione? Perché no?
C.R. - Crede che abbia ancora senso, ai giorni nostri, un approccio all’arte avanguardistico e sperimentale?
J.E. - Mah, io direi che questa domanda non è ben posta, perché di solito si dice “arte sperimentale” per forme d’arte che in verità sono quelle vere. L’arte è sempre sperimentale. La parola “sperimentale” non mi è mai piaciuta; non si parla mai, per esempio, di “scienza sperimentale”, perché la scienza è sempre sperimentale. Beh, l’arte è lo stesso, anzi, più è ricerca, più è esperimento, più è avventura, più è arte.
C.R. - Quali sono state le personalità artistiche, tra quelle da lei conosciute, che le hanno offerto maggiori spunti di riflessione sul suo lavoro artistico? Cosa ritiene di aver appreso dalla conoscenza diretta di queste persone?
J.E. - Beh, sì, ho conosciuto diverse personalità. Ma tra le tante persone che ho conosciuto sul mio cammino, soltanto forse con due, tre, ho avuto un intenso rapporto, e penso anche loro si sono trovati bene… una coincidenza di vedute, di sensibilità. E questi tre erano: uno Octavio Paz, messicano, un altro Joseph Beuys, e il terzo John Cage. Poi un altro è stato Beckett. Ero presente alla presentazione di Aspettando Godot a Parigi, con degli amici; noi eravamo in un caffè vicino al teatro dove c’era la prima (c’erano Susan Sontag, la Stein…), e quando siamo arrivati lui non era nella sala, ma in un caffè accanto, allora siamo andati lì e ci siamo seduti a fargli compagnia. Abbiamo parlato di un sacco di cose, ma lui non ha detto una parola… ad un certo punto però uscì la gente dal teatro, e lui disse…
C.R. - E con Paz invece? Come è avvenuta la conoscenza?
J.E. - Paz l’ho conosciuto prima, a Parigi, ma lui sapeva già chi ero. Era la fine degli anni ’40, primi anni ’50. Paz diceva che la mia poesia era surrealista, “tu dici che non sei surrealista, ma…”.

Da questo punto non è stato più possibile trascrivere la conversazione. Però Ricci è stato in grado di riferirmi abbastanza dettagliatamente di cosa si è parlato.
Eielson ha raccontato di come, attraverso Octavio Paz, abbia avuto modo di frequentare in quegli anni a Parigi molti altri poeti e artisti surrealisti, senza mai, tuttavia, entrare veramente a far parte del loro movimento, bensì frequentando anche altri protagonisti della scena artistica e letteraria parigina, e mantenendosi sempre indipendente. Fra gli altri, ha ricordato anche Paul Eluard. In seguito, ha raccontato del suo incontro con Joseph Beuys, avvenuto agli inizi degli anni ’70 in occasione della sua partecipazione a Documenta 5 di Kassel. Eielson prese parte alla manifestazione con un’opera da lui concepita, ma realizzata con altri dieci artisti: un’opera-evento, una sorta di happening dal titolo Concerto per la pace. Beuys, allora direttore di Documenta, lo chiamò perché aveva visto alcuni suoi lavori a Parigi, che gli erano piaciuti. Eielson ha descritto anche come l’opera venne presentata al pubblico, con un vero e proprio imbonitore (usa nella conversazione esattamente questo termine) che annunciava a gran voce “Venite a sentire il concerto!”. Ha anche aggiunto che la rappresentazione andò molto bene, il pubblico era numeroso e partecipe, anzi, venne addirittura coinvolto in una sorta di concerto collettivo improvvisato in cui si mescolarono l’esecuzione di musica sperimentale appositamente composta da un altro artista e, appunto, improvvisazioni del pubblico presente, che non si servì di strumenti veri e propri, ma di fogli di carta. L’esecuzione integrale durava circa sette minuti, e venne riproposta in seguito in altri contesti. C’è poi tutta la parte dedicata al ricordo dell’incontro straordinario con John Cage, avvenuto a New York sempre con la mediazione di Paz. Eielson ha raccontato che Cage lo ricevette nel suo grande appartamento andando ad accoglierlo all’ascensore, vestito per l’occasione con un magnifico e sgargiante poncho, dandogli il benvenuto in spagnolo e addirittura facendogli trovare una cena messicana preparata da lui stesso. Ha ricordato anche altre eccentricità del personaggio, indubbiamente molto originale ed estroso. Dopo questo lungo ricordo di amici e frequentazioni, si è parlato anche dello stato attuale dell’arte. Ricci ha fatto riferimento alla musica d’oggi, osservando che il predominio della musica leggera è totale e che ciò che spicca presso il grande pubblico sono sempre i “grandi eventi” di cantanti come Lucio Dalla o, all’estero, Paul Mc Cartney. Ma Eielson ha risposto che questa situazione riguarda in modo particolare l’Italia, mentre all’estero, ad esempio a Londra, non è così; lì si fa molta musica contemporanea fortemente sperimentale, e questo mondo è vivo e attivo più che mai. L’artista ha anche convenuto sul fatto che certamente molti artisti attuali, ad esempio Cattelan o Beecroft, solo per citarne alcuni, si rifacciano all’arte fatta da lui e da quelli della sua generazione, la reinterpretino o addirittura la ricalchino di frequente. Alla domanda di Ricci se davvero le forme d’arte tradizionale abbiano cessato di avere qualcosa da dire, lasciando posto a nuove modalità espressive quali ad esempio il video, Eielson ha espresso l’opinione che non sia poi così vero. La pittura non ha detto tutto quello che aveva da dire, e forse non esaurirà mai la sua capacità comunicativa, dunque non è neppure vero che tutto sia stato ormai fatto e niente di nuovo possa più essere inventato.

Intervista curata da Cristiano Mattia Ricci

Trascrizione curata da Laura Montingelli

Intervento pubblicato su www.cerchioazzurro.com (2004)
ARCHIVIO CERCHIO AZZURRO


BIBLIOGRAFIA MINIMA


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Bibliografia curata da Laura Montingelli

Contributo pubblicato su www.cerchioazzurro.com (2004)
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