MUSICA


Gianluca Vergani 


Come ti sei accostato alla musica e alla composizione? Qual è stato il tuo percorso?
“Là dove altri propongono opere io pretendo solamente di svelare il mio spirito (…)
Non concepisco un’opera staccata dalla vita (…)
Ogni mia opera, ogni parte di me, ogni fioritura ghiacciata mi cola addosso.”
Apro questa inaspettata e per me assai faticosa intervista con le illuminanti parole di Antonin Artaud tratte da L’ombelico dei Limbi.
Mi rifletto pienamente in queste affermazioni purtroppo ignorate dai più. Il pensiero che ne scaturisce non è di facile accesso e il percorso per arrivarvi può essere pericoloso: obbliga l'individuo a una ricerca interiore la quale può rimettere in discussione le pseudo-certezze trovate precedentemente in assenza di fatica. Le luminescenze che appaiono possono disturbare, sono esplosive e in grado di scardinare le menti rattrappite e di perforare, se ben calibrate, il sistema culturale istituzionale.
Sono convinto che non sia possibile operare attraverso lo spirito, cercando di riportare alla luce le impronte fossili vicine alle origini di noi stessi, seguendo un percorso di studi tradizionale. Il mio giudizio nei confronti del Conservatorio o di qualsiasi altra istituzione che si prefigge di forgiare compositori, pittori, scultori ecc. è totalmente negativo. Il Conservatorio è fuorviante e a lungo andare soffoca la vena creativa dello studente. Incanala l’intelletto verso sterili leggi di comportamento. Non promuove l’ascolto interiore. Sforna mestieranti in grado di operare solamente in superficie. Non aiuta ad allargare le maglie dei filtri entro i quali le esperienze di vita si dirigono… verso l’inconscio. Inaridisce l’essere.
Per queste convinzioni non ho voluto accostarmi ad un percorso di studi tradizionale inerenti la musica. Certamente, non ignoro i principi dell'armonia o le regole del contrappunto e fuga o le strutture formali tradizionali; le ho studiate, ma solo quando ne ho avvertito la necessità.
La volontà di concretizzare le immagini sonore l'avverto come un bisogno, anche se ho realizzato i miei primi lavori (esercizi di manualità), di cui allora ero soddisfatto, solamente poco prima dei vent’anni.
Precedentemente, solo astrazioni.
Fino a quasi i cinque anni ho passato la maggior parte del mio tempo costretto a letto. Il corpo reagiva male ai continui stati febbrili e la situazione di semi-infermità fisica creatasi mi ha permesso di sviluppare una forte capacità creativa: giocavo essenzialmente di fantasia, in maniera puramente astratta.
Questo allenamento mentale l’ho coltivato sempre con maggiore attenzione fino a quando ho avvertito il desiderio di concretizzare le astrazioni.
Il passo verso la musica, che ho conosciuto grazie a un caro amico, è stato naturale.
Che tipo di musica scrivi? Qual è il tuo linguaggio? Ti rifai a qualche modello storico o attuale?
Questa è una serie di domande la cui risposta mi risulta difficile.
Non saprei orientare i miei lavori verso quella o quell’altra soluzione linguistico/stilistica.
Potremmo operare per sottrazione.
Lo strutturalismo, anche nelle forme più recenti, non l’ho mai praticato (devo confessare, però, che alcuni esercizi per comprendere di che si trattasse li ho svolti in passato). La matematica applicata non è mai entrata nei miei brani. Lo spettralismo non mi convince pienamente poiché non credo in un sistema armonico particolare: l'oggetto sonoro non lo riduco solamente ad una successione di frequenze più o meno relazionate fra loro. L’improvvisazione non mi appartiene. Il minimalismo lo aborrisco, così come la contaminazione fra i vari generi, anche etnici.
Cosa rimane? Rimango io.
Sono una persona, e come tale unica. Non mi nascondo dietro una tecnica compositiva anche perché non scrivo per ambizione, per la gloria nei tempi o per denaro. Una esecuzione di un mio pezzo mi basta per verificare l’intento; non cerco altre prove esecutive, non forzo gli eventi.
La mia è un’esigenza, una perlustrazione interiore rivolta a illuminare i lati oscuri e a fare affiorare le soffocate e sedimentate formazioni costrette nelle trame dell’inconscio. Forse è un modo per conoscere me stesso anche se, ultimamente, sento sempre più viva la volontà di oltrepassare i territori ritrovati, allontanandomi nell'interiorità. A volte l’operazione è fruttuosa, ma in altre l’erpicatura è troppo violenta e i passanti sfuggono nella loro “smaterializzazione”.
Sono lentissimo nella stesura di un brano. Capita che un solo pezzo mi impegni per anni. La ricerca intimistica è lunga, ma ancora più impegnativa è la ricerca pratica sul timbro sonoro il quale deve adattarsi agli scenari mentali individuati.
Questo mi porta a tracciare vie alternative di approccio esecutivo allo strumento. Per di più, cerco un suono primordiale, complesso nella sua dinamicità interna e, quindi, senza centro.
La maggior parte delle persone che hanno ascoltato un mio lavoro si sono sentite disturbate dal tessuto rumoristico. Mi sono sempre rifiutato di etichettare i miei suoni come rumore. Il termine rumore è di natura soggettiva e quindi influenzabile dalle condizioni culturali e dall’esperienza di vita. La musica dell’uno può essere il rumore dell’altro, il rumore dell’uno può essere la musica dell'altro.
- Individui dei collegamenti fra la musica e le altre discipline artistiche? Se sì, in quali termini a tuo parere tali collegamenti si configurano?
Tutte le arti sono modalità espressive e mezzi creativi.
Personalmente mi dedico al suono in quanto credo che il mio senso uditivo/percettivo sia il più sviluppato e maggiormente in grado di interagire con i miei lati nascosti. È la porta che mi permette di comunicare con la realtà altra.
Comunque, credo che un’idea forte si possa sviluppare con qualsiasi mezzo espressivo, dipende dall’individuo, dalle sue singolarità.
Sono tentato di esprimermi anche per mezzo della poesia – alcuni tentativi felici li ho intrapresi in età pre-adolescenziale ma poi non li ho coltivati – e per mezzo della pittura. So, però, di non essere ancora pronto, e mai forse lo sarò poiché, per scavare in profondità, bisogna avere una grande dimestichezza con gli strumenti e per apprendere i meccanismi occorre tempo.
In definitiva, per rispondere alla tua domanda, dico che i collegamenti fra le varie discipline artistiche possono esserci: le idee sviluppate sulle singolarità.
- Raccogli per la tua musica anche degli stimoli che provengano, ad esempio, dalle tue letture?
Alterno periodi di forte lettura a periodi in cui non riesco a leggere nemmeno le notizie che compaiono sui giornali. Sicuramente, però, ciò che non disdegno e che quasi con continuità leggo e studio sono le tematiche di natura astronomica; in particolare mi interessano le teorie cosmologiche alternative a quella standard, per intenderci, a quella del Big Bang.
La passione per l’astronomia ha radici lontane. Risale alla mia infanzia, a quando avevo circa otto anni. Allora, più che la teoria mi coinvolgeva l’aspetto osservativo. Sono molte le notti che ho trascorso in piedi e all’aperto con il solo scopo di osservare determinati fenomeni celesti o, semplicemente, per la visione di una serie di ammassi globulari o nebulose o quant’altro.
Sono sempre stato attratto dai fenomeni naturali e da quelli astronomici in modo particolare, forse per la loro irraggiungibilità, per l’impossibilità di un contatto.
Ovviamente, utilizzo il bagaglio di esperienze in campo astronomico/cosmologico, che mi appartiene profondamente, anche per scopi musicali. Il più delle volte applico le teorie cosmologiche alternative, adeguatamente filtrate e calibrate alle mie esigenze, per la costruzione della forma del brano musicale. Così, è capitato che il materiale musicale si autogenerasse o che venisse espulso sotto forma embrionale da una massa-incubatoio o che, ancora, dovesse frizionare tra i diversi stati primordiali alla ricerca di un equilibrio utopistico, irraggiungibile e, in fondo, non appartenente ad esso.
Le altre letture alle quali mi accosto sono per di più poetiche o prosaico/poetiche. Sono attratto dalla letteratura di lingua francese della prima metà del Novecento e, in particolare, affascinato dal filone surrealista, nelle sue molteplici forme. Ora, mi sento di fare un solo nome; figura decisamente non schematizzabile: Henri Michaux.
Queste letture, però, non influenzano le maglie delle mie strutture musicali, almeno a livello razionale.
- Non ho ancora ascoltato nulla dei tuoi lavori, perché tu hai preferito che questa intervista si svolgesse a priori: so soltanto che nelle tue partiture c’è un forte riferimento al colore, e che ti interessi di elettronica. Vorresti parlarmi di questi due aspetti?
Sono sempre molto restio a divulgare le poche registrazioni dei mie lavori.
Come detto in precedenza, i lavori che realizzo sono il risultato di faticosi svelamenti dello spirito e a volte di situazioni estremamente personali, intime.
Inoltre, non ho voluto presentarti un mio brano poiché ho pensato che potesse influenzare troppo le domande. Non me la sono sentita di avvantaggiare l’intervistatrice a discapito dei pazienti lettori. Ad essere sincero, operando in questa maniera ho cercato di orientarti verso la stesura di quesiti generalistici credendo di facilitare, dando maggiore libertà di risposta, l'intervistato. Tu, però, arguta come sempre, mi stai facendo delirare più del dovuto.
L’utilizzo del colore nelle mie partiture è dettato solamente da criteri funzionali.
Ho bisogno di agire sul timbro degli strumenti per ottenere quello che ho focalizzato mentalmente. Questo mi costringe ad andare oltre la prassi esecutiva tradizionale con l’invenzione di alternative modalità.
Imprimo sulla carta i segni di una diversa notazione musicale, più congrua al mio scopo. Contemporaneamente, tendo ad evitare il trauma dell’impatto dello strumentista con la partitura o, quanto meno, a ridimensionarlo. Cerco di alleggerire il tessuto segnico con il colore anziché inventare continuamente nuove simbologie e costringere l’interprete a riguardare più volte la legenda. Il colore lo associo a gesti istintivi che ognuno di noi conserva fino dall’infanzia e questo agevola l’impatto visivo con la partitura.
L’altro aspetto che mi chiedi riguarda l’elettronica. Ebbene, a dispetto dell’opinione generale credo che fare musica con l’elettronica, con il calcolatore, sia estremamente difficile, almeno per me.
Sono l’ideatore e l’organizzatore di Insulae Electronicae, un concorso internazionale di musica elettroacustica rivolta ai giovani compositori. Nei tre anni in cui si è svolta la manifestazione ho potuto farmi un’idea sulla realtà contemporanea che utilizza il calcolatore come mezzo espressivo. Non ho un giudizio positivo. Purtroppo, ci si affida sempre più a pacchetti preconfezionati (i GRM tools o i software dell’Ircam per fare gli esempi più palesi) costringendo l’utente ad agire entro confini predefiniti. Come conseguenza si ha un appiattimento timbrico e una certa omogeneità del tessuto sonoro. Così facendo viene meno quella caratteristica propria che ha contraddistinto fin dalla nascita la musica elettronica: la ricerca timbrica.
Al di là di queste osservazioni, devo ammettere che lo studio e la ricerca musicale per mezzo del calcolatore mi ha aiutato molto ad affinare l’udito e a sviluppare l’apparato percettivo. Infatti, sono convinto che l’elettronica e i mezzi con i quali si opera sia l’ideale per un utilizzo didattico atto proprio allo sviluppo della percezione per mezzo di segnalazioni immaginifiche; si creano immagini sonore nella mente del bambino per associazioni. Il senso uditivo si pone sullo stesso piano di quello visivo.
Ogni volta che ho proposto delle esperienze simili ho sempre riscontrato un grande entusiasmo e credo che continuerò a riproporre queste idee.
- So che quest’estate andrai a seguire i corsi di perfezionamento di Darmstadt. Cosa ti ha spinto a questa scelta? Sai qualcosa di quali caratteristiche abbiano assunto negli ultimi anni rispetto alla loro fase storica? Perché ritieni ancora importante fare questa esperienza?
Anch’io come certe persone, sempre meno per la verità, devo avere sette o otto sensi. Tra questi vi è senz’altro il senso della mancanza. Quella sensazione di continuo vuoto, di assenza, accompagnato sistematicamente dall’insofferenza e dalla consapevolezza dell’impossibilità, almeno per ora, di decifrare pienamente le formazioni più profonde dell’inconscio.
Il senso della mancanza mobilita l’esigenza di conoscenza, di scoperta, di individuazione dei confini entro i quali la creatività opera. Per colmare queste necessità ho bisogno di sapere in quale direzione il mondo musicale contemporaneo si proietta, e se sta espandendosi o contraendosi; certamente, non per seguire la direzione del vento - so dove scavare - ma per verificare fino a che punto mi allontano dal nucleo.
Ho deciso di frequentare i Ferienkurse di Darmstadt (partirò fra qualche giorno) poiché sono convinto che sia ancora il luogo ideale per le mie osservazioni, la cartina al tornasole dello stato della musica contemporanea oggi, almeno per buona parte di essa. In passato ho seguito altri corsi e seminari inerenti la musica ma mai di queste dimensioni, sia per il numero di iscritti (quest’anno ci saranno poco meno di trecento persone fra compositori, strumentisti e musicologi provenienti da tutti i continenti) che per la qualità dei docenti. Non mi attendo grandi scoperte e nemmeno lezioni indimenticabili nonostante, come detto, i docenti siano di alto livello, ma già conosciuti e soppesati, i più; il periodo genuino e “felice” di Nono, Maderna e Stockhausen è definitivamente tramontato. Al contrario, assisterò a scenari poco ortodossi da parte di iscritti lacchè disposti a tutto pur di ottenere un’esecuzione o un contratto editoriale. È una piaga che puntualmente si verifica ad ogni corso.
Al mio ritorno, se lo vorrai, ti imbastirò un resoconto.
- Frequenti a Milano gli ambienti della musica contemporanea, o comunque condividi questo interesse con amici o conoscenti? Come ti confronti con persone che a loro volta si interessano a queste cose?
A Milano, come altrove, non frequento più alcun ambiente dedicato alla musica contemporanea. Sono deluso e amareggiato dalla brutta piega che è andata consolidandosi negli anni.
Vige l’accademismo, anche ben fatto ma, in quanto tale, sterile. Specialmente in Italia i pochi spazi disponibili per un genuino scambio di pensiero sono usurpati dagli epigoni.
Non c’è possibilità di immettere aria fresca nel putridume.
Ormai la musica si è adagiata su stilemi consolidati. Non intende andare oltre. Chissà, forse per paura di svelare la propria incapacità, la propria debolezza e inutilità?
Fortunatamente, persone che guardano oltre, che hanno il coraggio di superare i confini, esistono; non solo in campo musicale.
Purtroppo, sono degli isolati.

Intervista curata da Laura Montingelli

NOTA

Gianluca Vergani è musicologo e ricercatore.

Si è laureato in musicologia all’Università di Pavia (Scuola di Paleografia e Filologia Musicale di Cremona) con la seguente tesi: Il rumore come materiale musicale. Individuazione ed analisi delle sorgenti sonore relative agli strumenti ad arco.
In campo compositivo si sente essenzialmente autodidatta, anche se ha compiuto ed approfondito gli studi nelle istituzioni milanesi e comasche (non senza difficoltà di ruolo).
Ha partecipato a diversi seminari e master classes di composizione in Italia e all’estero, tra i quali i più significativi per la comprensione della materia “suono” sono stati i seguenti:
- 1999: Corso di composizione organizzato dal Centre Acanthes (Paris) ad Avignone, in cui ha potuto godere di una borsa di studio; docente: Helmut Lachenmann.
- 2003: Master Class di composizione al Conservatorio "L. Campiani" di Mantova; docente: Pierluigi Billone.
Dal 1999 organizza diverse rassegne e concerti di musica contemporanea nel Cremonese, dando sempre ampio spazio ai giovani musicisti.
Ha collaborato al festival parigino elettroacustico 
Licences.
Dal 2003 organizza e cura la direzione artistica di 
Insulae Electronicae, concorso internazionale di musica elettroacustica rivolto ai giovani compositori all’interno degli spazi del castello visconteo di Pandino (Cremona) (http://alcor.concordia.ca/~kaustin/cecconference/current/3417.html)
I suoi lavori musicali (acustici ed elettroacustici) sono stati eseguiti in Italia e all’estero.
Ha svolto attività didattiche e di archiviazione musicale in istituzioni pubbliche e private.
http://www.tazebau.it/evento.asp?id=66
gianluca.vergani@tin.it

Laura Montingelli è nata a Milano nel 1974.
E’ laureata in lettere moderne e diplomata in pianoforte.
Ha lavorato nell’ambito della ricerca sulla musica contemporanea (Centro Studi Arcipelago Musica), e ha svolto collaborazioni di carattere bibliotecario/archivistico (Ufficio Ricerca Fondi Musicali della Biblioteca Nazionale Braidense), radiogiornalistico (Rotoclassica di Claudio Ricordi, sulle frequenze di Radio Popolare) e redazionale (società di servizi editoriali Mirabilia), occupandosi di argomenti musicali e non.
Fra il 2004 e il 2006 ha inoltre lavorato nel settore Produzione dell’Orchestra sinfonica di Milano “Giuseppe Verdi”, affiancando a mansioni gestionali e organizzative una consulenza musicologica, con la presentazione dei concerti al pubblico attraverso incontri settimanali di guida all'ascolto.
Successivamente ha condotto esperienze di lavoro gestionale anche presso Studi di architettura, design e sperimentazione videoartistica, e ancora attualmente svolge questa professione.
Parallelamente conduce attività e collaborazioni redazionali su argomenti di cultura, arte, società (si segnala in particolare l'audiorivista per l'apprendimento della lingua italiana Incontro Italiano).

In apertura: due pagine dalla partitura di Gianluca Vergani L'orizzonte degli eventi

Intervento pubblicato sul www.cerchioazzurro.com (2006)
ARCHIVIO CERCHIO AZZURRO