ARTI - 2


Annabella Cuomo


- Che ruolo riveste la fotografia nel tuo lavoro artistico?

Ho avuto una formazione accademica incentrata sulla pittura. La fotografia è arrivata un paio di anni fa con un master in fotogiornalismo, dopo tre lezioni ho capito che non sarei diventata una reporter (la timidezza non mi avrebbe mai consentito di rompere le scatole o impormi per uno scatto) e in realtà nemmeno mi interessava. Ho poi compreso che si può essere reporter senza rifarsi necessariamente ad un dato reale.

Al momento il mio percorso artistico poggia sul mezzo fotografico tanto quanto su quello pittorico/grafico.
La differenza sostanziale tra i due, è che essendomi avvicinata alla macchina fotografica in età più matura e avendo sempre pensato di non essere una brava “fotografa” ho un approccio con quest’ultima molto più libero, rilassato e menefreghista riguardo a regole e simili. In sostanza, non ho paura di compiere azzardi che farebbero rabbrividire molti cultori del settore. 



- Mi sembra che attraverso la fotografia racconti la tua memoria, mentre con la pittura racconti l’inquietudine.
Tendenzialmente è vero. In questo momento la fotografia è un mezzo congeniale all’interesse che ho nell’indagare il concetto di assenza e memoria, mentre attraverso le opere pittoriche /grafiche analizzo maggiormente l’aspetto sociale di alcuni concetti universali come la paura e la morte. 
Cerco di scegliere i miei mezzi con molta libertà ed essendo una  devota alla sperimentazione mi riservo di dire che a breve la situazione potrebbe cambiare radicalmente; credo infatti, che molte volte il voler essere riconoscibile, o il voler dare una connotazione precisa al proprio lavoro possa limitare la libertà di sperimentazione che sta alla base della crescita di ogni artista.
- I tuoi disegni-collages spesso descrivono il tema della metamorfosi. Vuoi parlarcene?
Nell’ultimo anno ho affrontato il tema della metamorfosi in maniera più evidente, mi è sempre interessato indagare la coesistenza all’interno di uno stesso organismo o situazione di più elementi, che sostanzialmente si riconducono sempre agli antipodi di bene e male.
Nella mie metamorfosi, l’elemento fondamentale è la volontà di mettere in luce come in tutto vi sia una metà malata, anche in qualcosa di esteticamente sano e molto affascinante.



- Che significato simbolico attribuisci agli animali nel tuo lavoro?
Gli animali sono stati i miei soggetti preferiti per molto tempo, ancora oggi lo sono , ma con meno predominanza all’interno dell’opera. Tutto è nato grazie ad un grande libro illustrato sugli animali di mio padre, che con costanza e passione ho sfogliato per anni. Quelle illustrazioni hanno ancora oggi una bellezza misteriosa e malinconica.
Nel tempo e con lo studio ho imparato a capire e a mettere a fuoco quello che era l’aspetto per me davvero interessante dell’animale, ossia la sua “sacralità”.
Kundera riassume tutto ciò meravigliosamente: "...Nietzsche esce dal suo albergo a Torino. Vede davanti a se un cavallo e un cocchiere che lo colpisce con la frusta. Nietzsche si avvicina al cavallo, e sotto gli occhi del cocchiere, gli abbraccia il collo e scoppia in pianto. Ciò avveniva nel 1889 e a quel tempo anche Nietzsche era già lontano dagli uomini...".



- Spesso le tue opere sembrano enigmaticamente raccontare; il tuo lavoro è in relazione con una passione per la letteratura?
In passato lo era molto di più, Negli ultimi tempi la mia dimensione artistica si sovrappone molto alla mia quotidianità e attinge a passioni personali che a volte sono completamente nonsense.
Ad esempio ho una perversione per i documentari, di tutti i tipi, e molti lavori recenti sono nati in questo modo… ascoltando storie di cronaca italiana o storie sulla vita di animali lontani e bellissimi.
Ovviamente la letteratura e la filosofia rimangono le fondamenta, senza i dialoghi sull’amore di Platone o i testi di Galimberti molte cose non avrebbero avuto senso.
- Quali sono gli artisti italiani che preferisci? Puoi descriverci almeno tre artisti che per il tuo immaginario hanno un significato importante?
Tra gli italiani prediligo gli artisti che fanno riferimento alla transavanguardia, Ghia, Cucchi, Paladino. In questo momento se dovessi menzionarti artisti importanti nel mio percorso ti parlerei di coloro che ho il piacere di conoscere di persona, ad esempio Luca Donnini e Daniele Villa, artisti che stimo molto per la loro onestà intellettuale e per la profonda sensibilità. Oltre ad essere autori di opere che a mio avviso rivelano un’estrema raffinatezza estetica e grande forza concettuale, sono artisti con i quali anche parlare per soli 20 minuti ti smuove intellettualmente.


- Hai amici artisti, sei in relazione umana e d’amicizia con altri artisti?
Il 90% delle mie amicizie ha relazione con l’ambito artistico: dall’artista, al regista al curatore. Molto probabilmente perché ho studiato in Accademia e lì ho stretto la maggior parte dei rapporti con le persone importanti della mia vita. Qui a Rotterdam ho sperimentato per la prima volta amicizie strette con persone che lavorano in ambiti opposti al mio, è stato molto interessante, anche se a volte ho sentito la mancanza di persone con simili problematiche e necessità, tipiche di una quotidianità particolare che può essere quella dell’artista.



- Quali sono le principali tecniche con cui realizzi il tuo lavoro?
Nell’ultimo anno ho lavorato su supporto cartaceo con medium essenziali, quali penna e matita.
Utilizzo una tecnica mista che varia a seconda del lavoro, tendenzialmente è un misto di immagini stampate in B/N sulla quale realizzo interventi, più o meno invasivi.
Altre volte disegno e coloro semplicemente.


- Su cosa stai lavorando in questo periodo?
In questo periodo mi sto concentrando sull’aspetto promozionale dei miei lavori e sto lavorando alla preparazione di una mostra collettiva alla Temple University a Roma.
A breve andrò in vacanza per un paio di settimane e al ritorno intendo continuare a lavorare sull’interazione tra fotografia e grafica all’interno del medesimo spazio, in sostanza calibrare le due ricerche che sto portando avanti e vedere cosa accade. 


- Ti sembra che l’Italia sia un paese ancora ricco di attualità creatività? Com’è cambiato il tuo sguardo sull’Italia vivendo a Rotterdam?
Credo che in Italia ci siano giovani artisti molto validi, la tradizione pittorica che abbiamo e che molte volte grava sulle nostre spalle è anche una risorsa e una marcia in più per noi italiani.
Stando qui a Rotterdam, ho costatato che molti artisti olandesi, anche giovani, lavorano prevalentemente in termini concettuali, molta videoarte e interventi istallativi, e a volte mi è sembrato che questa estrema concettualizzazione del pensiero artistico tradisse un’inconsistenza effettiva. Posso quindi affermare che stando all’estero il mio sguardo verso l’italia ha assunto un’accezione positiva. Ho imparato a ri-vedere i nostri punti di forza.


Intervista curata da Cristiano Mattia Ricci

Nota


Annabella Cuomo si è diplomata al Liceo artistico di Lecce, laureandosi poi all'Accademia di Belle Arti di Roma. 
Nel 2010 ha terminato un Master in Arti visive, e si è ulteriormente specializzata in fotogiornalismo frequentando l'Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata di Roma.    
Dal 2007 è presente sulla scena artistica nazionale e internazionale con mostre personali e collettive.
E' stata selezionata per i premi PrimaLuce 2012, Buenos Aires 2012, Cascella 2011 e Art Gallery Prize 2011. 
Vive e lavora a Rotterdam. 



Sebastiano Benegiamo 

- Il tema del dolore. Ho guardato i tuoi lavori e molto semplicemente ho visto questo dolore. L’ho immaginato? Era soltanto il mio?
Posso dirti che io solitamente lavoro quando mi sento bene, ma per me è inevitabile quello che viene fuori, e se ci senti del dolore allora ti dico che c'è.

- La cultura personale e il tuo immaginario. Mi ha colpito la tua lontananza dai pittori contemporanei; credo di vedere nelle tue opere un’affinità con alcuni artisti italiani e in particolare toscani del Novecento. Penso soprattutto a Ottone Rosai. Poi mi viene in mente Ardengo Soffici; anche Lorenzo Viani. L’uso del disegno; la sua espressività; una ricercata elementarità. Questi sono stati tra l’altro artisti-scrittori…
Beh, hai citato tutti artisti toscani, e forse non a caso... come sai io sono fiorentino, anche se ho origini per metà pugliesi... devo ammettere che adoro la passione di Modigliani, ma per quanto riguarda le affinità mi sento molto più vicino allo stile barbaro del suo amico Soutin. Certo è un onore per me essere accostato a maestri come Rosai o Viani... sicuramente sono artisti che ho ammirato e dai quali ho provato a rubare qualcosa... soprattutto adoro la semplice disperazione degli omini di Rosai e il drammatico esistenzialismo dei personaggi di Viani (il cieco, i mendicanti...). Diciamo che anche io ho un interesse per coloro che sono un po' al margine, e questo non per moda, ma perchè ci sento dentro una verità che me li fa sentire fratelli di strada, compagni che provano la mia stessa sofferenza. Ma sono moltissimi gli artisti che ammiro, e in fondo non posso dire di preferire quello o questo.. gli artisti sono artisti... Che so, vorrei avere il segno di Schiele, la classicità moderna di Bacon, o chissà cos'altro... ma in verità a me interessa raccontare me stesso, e lo faccio perchè ho sempre la sensazione di essere troppo avanti, sempre a un passo dalla morte, e il disegno mi riporta nell'attimo, qua dove sono in verità... mi aiuta a capire.

- Cosa scrivi quando scrivi? Ti piace la poesia?
Mi interessa molto la poesia e provo a fare poesia... tra l'altro in questo periodo in cui mi sono fratturato la tibia sto scrivendo un poemetto che vorrei pubblicare; il titolo sarà In carrozza. Ti cito un breve passaggio: "osservo quella giacca ferma come di gesso s'innalza come bellezza dipinta di pezza verde che puzza di vita."

- I tuoi lavori che ho visto a Milano e che qui presentiamo, sono prevalentemente realizzati su cartonlegno. Puoi raccontare qualche aspetto “tecnico” del tuo lavoro, qualche aneddoto sulle fasi della realizzazione di una tua opera?
Solitamente quando disegno traccio le lineee fondamentali per poi coprire il foglio con del nero, e poi scavando e ripulendo tiro fuori l'immagine, solitamente un volto... ma quello che mi interessa è provare a raccontare attraverso uno sguardo o una cicatrice o una ruga un pezzo di quella vita che sto ritraendo... lavoro sempre dal vero, vedere mi da spunti che altrimenti non avrei e mi mette in rapporto con la realtà. Penso che sia una cosa utile.

- Ti piacciono l’installazione, la video arte?
Non particolarmente per adesso... devo dire che non mi sono mai sforzato troppo di capirne il senso, penso che siano una forma d'arte ma raramente ho trovato istallazioni o video che mi abbiano entusiasmato. Invece con la pittura mi succede spessissimo... sarà per questo che la preferisco?

- Lavori per serie; ho visto dei tuoi paesaggi urbani; come ti piacerebbe che venisse letto il tuo lavoro?
Per quanto riguarda quei paesaggi urbani, che non sono altro che case popolari del quartiere dove vivono mia madre e mia nonna e dove ho vissuto fino a dieci anni fa, quello che ho cercato di raccontare è proprio quel senso di Purgatorio... vivere alle Piagge, secondo me, è come essere agli arresti domiciliari... per lungo tempo mi sono sentito così, e in quei disegni mi sono liberato di quella sensazione sgradevole... in uno di quei disegni c'è un grande sole che copre perfino i muri... qualcuno ha visto in quel disegno una citazione poetica, mentre io volevo solo omaggiare un artista, Edvard Munch.

- Trovi interessate il presente del nostro Paese? Segui la politica?
Quello che mi sembra interessante del nostro paese? La pizza...

- Attualmente quali lavori stai realizzando? Quali sono i temi?
Adesso sto facendo dei ritratti, tanto per cambiare. Sono persone che incontro in un bar centrale di Firenze... noi lo chiamiamo "il barraccio", è un bar un po' atipico per Firenze, sembra di stare in uno di quei locali malfamati del porto, dove puoi incontrare gente di tutti i tipi, ma gente che ha sempre qualche storia da raccontarti... sono pirati moderni... certo ora ti sarai fatta un'immagine preoccupante di questo posto, ho un po' esagerato, in quanto sono tutti abbastanza civili. E' che però succedono cose strane a volte... e io voglio raccontare questa fauna umana... credo che ci farò una mostra.

- Cos’ha l’artista che altri non hanno?
Credo che un artista sia un uomo che cerca di esprimere una sua personale visione, un suo pensiero libero, oppure che voglia affermare la propria esistenza... non so se ha qualcosa che gli altri non hanno, però credo che ci siano molti motivi per cui vale la pena di fare l'artista... sennò
non farei la fame pur di continuare a fare quello che desidero... in fondo è una scelta coraggiosa e rischiosa. Ma ripeto, ci sono molti motivi per cui un uomo sente di dover fare l'artista, e ognuno lo tiene nascosto dentro di sè... diciamo che l'arte è un mezzo per svelarsi, e anche per fare questo ci vuole coraggio...


Intervista curata da Cristiano Mattia Ricci

Nota

Sebastiano Benegiamo è nato a Fiesole il 2 gennaio 1982. E' diplomato all’Accademia di Belle Arti di Firenze con Adriano Bimbi. Vive e lavora a Firenze.


Maurizio L'Altrella


- Il tuo lavoro di artista non inizia con queste opere che qui presentiamo. Mi risulta che la tua pittura abbia sviluppato almeno tre fasi precedenti a questa; in un certo senso fa mostra di una “freschezza” che viene da lontano...
Sì, ho affrontato diversi stadi di ricerca nel campo dell’arte prima di giungere a questo tipo di espressione pittorica. In effetti, le fasi sono più di tre, ma mi limiterò a citare le esperienze più recenti. All’inizio era pittura figurativa, poi astratta, dove il gesto e il segno erano gli elementi fondamentali.
In seguito ho sperimentato la materia per alcuni anni, usando resine, materiali poveri e fotografia assemblati; quello che ne usciva prendeva il nome di “composti”. Ero interessato e ispirato dalle opere classiche dei grandi maestri dell’alto Medioevo, del ‘500 e anche dai fiamminghi, con uno sguardo particolare alla tensione che sviluppano i quadri di Grünewald.
Mi affascinavano le pale d’altare, ma venivo anche colpito dalla violenza rappresentata dall’arte concernente la religione occidentale. Soffrivo davanti ad alcune immagini.
Tecnicamente poi mi sono dedicato a un altro tipo di materia. Il mio interesse si è spostato verso i metalli: ferro e alluminio principalmente, che andavo ad intaccare con ossidazioni, incidevo, graffiavo con utensili e martellavo. Ho creato anche diverse installazioni. I temi, anche qui, erano sostanzialmente legati alla religione e alla violenza da essa generata, mi riferisco all’Inquisizione per fare un esempio, o ai martiri.
Poi ho avuto un periodo di riflessione abbastanza lungo, circa un anno e mezzo, dopodiché ho ripreso a dipingere.

- Vuoi accennare al tuo lavoro con i video e alle ricerche musicali connesse?
In quell’anno e mezzo di riflessione cui accennavo prima, e in cui avevo una spasmodica propensione verso la pittura figurativa, ho voluto aspettare ancora prima di riprendere in mano i pennelli e sperimentare esprimendomi attraverso la videoarte. Insieme al mio caro amico Luca Trevisan (avevamo già in precedenza progettato e creato installazioni sotto il nome di Spazi Residui, insieme anche a Marco Cadioli) abbiamo lavorato all’idea di un video, mettendo su carta un progetto che poi è stato eseguito, in maniera completa direi: girato, montato e composto le musiche. E’ stata un’esperienza molto intensa e importante per me, e mi ha aperto la mente verso una visione nuova del fare arte, comunicando anche con la fisicità del corpo, movimenti, espressioni facciali, inquadrature, luci e, appunto, nel creare delle musiche adatte alle emozioni che ci interessava trasmettere. I brani creati per il video Il pasto (il primo girato) erano di genere indie/rock con influenze industrial, che in un crescendo di dissonanze ed effetti che spesso stravolgevano i suoni originali sfociavano in una psichedelica schizofrenia sonora. Io mi ero occupato dei suoni di chitarre, in molti casi molto distorte, che sviluppavano atmosfere rappresentanti l’annichilimento e la follia, e di alcune basi di tastiera, mentre Luca si era occupato della parte ritmica, effetti e batteria elettronica campionata, e Filiberto, un altro amico di vecchia data, si era prestato suonando delle basi di basso. Nel frattempo facevo musica e cantavo anche in una rock band con altri due amici. Il genere era sostanzialmente crossover e ci divertivamo davvero molto! La musica è un elemento fondamentale della mia vita. Non ascolto qualsiasi cosa, i miei gusti vanno dalla classica al rock più estremo, ma sempre selezionando. Ho composto musica anche da solo con l’aiuto di programmi di composizione che usavo sul mio computer. Quando lavoro, ho sempre necessità di avere un sottofondo musicale che arricchisca i miei stimoli. Con Luca abbiamo girato un secondo video e ne abbiamo iniziato un terzo, che però è rimasto incompleto, perché a un certo punto io ho dovuto abbandonare il progetto e conseguentemente anche l’impegno con la band, perché l’esigenza di dipingere era diventata importante. Ormai ero quasi ossessionato da una pittura figurativa che non facevo in concreto, ma che continuavo ad elaborare a livello intellettivo, e ho sentito che dovevo convogliare totalmente la mia energia in quel senso.


- Ritieni che sia importante la “bellezza” nella pittura? Quale può essere la bellezza in un’opera d’arte?
Sinceramente credo che la pittura più che altro debba essere “buona pittura”.
L’americano James Hillman, psicoanalista, saggista e filosofo, dice che nel secolo precedente al nostro la bellezza risiedeva nel “grande”, mentre lui sostiene il contrario. Il gigantismo nell’arte c’è stato e continua a esserci, suscitando a volte un interesse che prescinde dalla qualità. I greci sostenevano che la bellezza è proporzione. Con l’avvento degli espressionisti, molti secoli dopo, questo concetto è stato annullato. Per quanto mi riguarda, bellezza e qualità devono essere un tutt’uno.
Un quadro bello per me deve trasmettere forza ed energia attraverso il segno, il gesto, il colore, come per esempio nella pittura di Arnulf Rainer e non solo, oppure assorbirmi nella sua atmosfera poetica e farmi fluttuare, come nella pittura di Osvaldo Licini. Posso essere rapito da com’è costruita una figura, come nel caso di Yan Pei Ming, Giacometti o Bacon, un paesaggio, un concetto, uno spazio, dal senso che ha e da come viene rappresentata una performance o un video.
- Che importanza attribuisci all’abilità tecnica nel dipingere? Credi sia necessaria per una buona espressione artistica attraverso la pittura?
Un quadro dipinto bene non è necessariamente un buon quadro.

- Mi sembra di intravedere in queste tue opere una forte fonte d’ispirazione nel cinema.
Adoro il cinema, non posso farne a meno e credo che sia molto probabile, anche se non è sempre stabilito in partenza il collegamento tra i film che vedo e ciò che dipingo. Ci sono sicuramente inquadrature che mi danno forti emozioni e che rimangono impresse nella mia memoria, come colori, luci ed atmosfere, oltre che temi, concetti e recitazione. Tutti questi input influenzano la mia pittura ma, credo, anche la mia vita.


- Hai amato anche tu la pittura degli anni ’80; ricordo un tuo vecchio catalogo di opere dipinte con una gestualità ispirata e affine per certi versi ai Nuovi Selvaggi tedeschi.
I Nuovi Selvaggi erano degli eroi per me, mi sentivo molto vicino a loro nella mia espressione pittorica. La forza del segno, il modo di concepire la figura, i colori e i contrasti esasperati sviluppavano esplosioni di energia nella mia mente. In quel periodo ho molto prediletto anche due artisti svizzeri: Siegfried Anzinger e Martin Disler.

- In Into the green è la pittura, come una coltre, a cancellare parti degli esseri umani; e sono gli esseri umani a uscire da questa coltre/pittura. Cosa rappresenta questo velo uniforme e astratto che a tratti cancella e a tratti lascia intravedere?
Nel fondo di quel lavoro, come in quello di altri, cerco di rappresentare una dimensione in cui la figura si trova.
E’ un’estensione mentale che sfocia nella spiritualità, dove i protagonisti non hanno una connotazione definita, parti del loro corpo appaiono mentre altre sono tenute volontariamente celate o vengono cancellate e intaccate dalle colature, perché è una dimensione di passaggio, nulla è mai per sempre.

- Ci sono alcune icone o ricorrenze molto diffuse nell’arte contemporanea (come il teschio, nuovo e antico, o per altri versi forse più moderni, come la “sgocciolatura”) che caratterizzano la nostra storia dell’arte occidentale. Nel caso del teschio, mi pare che l’antica simbolica sacralità dei significati sia oggi totalmente capovolta. Per esempio, io credo che oggi il teschio non significhi più assolutamente nulla; se non che quell’artista è contemporaneo, cioè rientra nella categoria di una oggi abbastanza diffusa e trasversale avanguardia artistica. Talvolta, nell’arte contemporanea, ho visto anche l’utilizzo della figura dei bambini, spesso con accezioni legate in qualche modo all’inquietudine. Nel tuo caso specifico, mi puoi raccontare qual è l’indagine che fai sul mondo dei bambini e da cosa ha preso avvio questa tua serie di opere?
Mi interessa rappresentare lo stadio puro o quasi dell’essere umano, non necessariamente l’inquietudine. Il momento in cui la personalità è ancora molto plasmabile e il carattere dell’individuo non si è ancora consolidato. E’ anche per questo motivo che tendo a non dare fisionomie definite, cercando di rappresentare i corpi come involucri che custodiscono un’essenza. Tento di dire che in quel momento tutto è possibile, e questo o quei bambini potrebbero essere o diventare sia buoni sia cattivi, e non solo nel caso specifico relativo a Good kids/Bad kids?, anche se in questi lavori mi piace evidenziare il concetto attraverso il titolo, o per lo meno dare uno stimolo.
- Quali sono gli artisti contemporanei, moderni e classici che in qualche modo hanno dato “forma” al tuo immaginario artistico?
Devo dire che sono davvero molti, e alcuni li ho citati doverosamente rispondendo in precedenza alle tue domande.
Potrei menzionare ancora De Kooning, Anselm Kiefer, Julian Shnabel, Ryan Mendoza, Joseph Beuys, Matthew Barney, Nam June Paik, Bill Viola, Mimmo Paladino, Mario Merz, e ce ne sarebbero molti altri che mi duole non citare relativamente al contemporaneo. Tra i moderni sicuramente buona parte degli espressionisti, tra cui Dix e Grotz; precedentemente alcuni impressionisti tra cui Toulouse Lautrec, Degas, Monet, anche uno sguardo particolare a Egon Shiele, James Ensor, Marcel Duchamp… Per passare al classico: Tiziano, Tintoretto, Michelangelo, El Greco, Dürer, Rubens, Caravaggio… e tanti altri.
- Proviamo a uscire adesso dalla pittura e dalle sue tematiche più strettamente artistiche. Non facciamo quindi cenno al suo mondo reale/irreale; alla ristretta società che ne è beneficiaria; al mercato (che da noi praticamente manca, ad eccezione dei maestri del moderno e di una ristrettissima parte di contemporanei).
Prima di arrivare all’oggetto di questa ultima riflessione, vorrei dirti che ritengo che tutte queste presunte possibilità del mondo reale dell’arte e della sua parziale società connessa da sole non bastano a stimolare e giustificare la grande passione di chi si occupa d’arte. Che impressione hai, invece, dell’attualità del nostro Paese? Quale contesto umano metti a fuoco nella tua quotidianità?

Non vorrei scadere nella retorica, ma fino a non molto tempo fa tutto quello che succedeva in questo nostro Paese principalmente, ma anche nel mondo in generale, mi lasciava sgomento e mi annichiliva, porgendo spazio a grandi rabbie e penose depressioni. Ora vedo le cose in maniera diversa. Chiaramente, non mi sono procurato soffici paraocchi. Economia a catafascio è sintomo di povertà latente, non solo dal punto di vista delle finanze; c’è anche ristrettezza dal punto di vista culturale, questo è tra gli elementi più gravi e pare che a nessuno dei signori che manovrano la grande macchina governante interessi molto. Tutto l’inutile è molto enfatizzato, fino agli eccessi. Stiamo chiaramente regredendo, sotto molti punti di vista. Però, scusa se ripeto un concetto in cui credo: nulla può durare per sempre. Esistono cicli che in forme diverse si erano già proposti nella storia, non necessariamente quella del nostro Paese.
Questo non significa che me ne sto in panciolle in attesa che le cose cambino tra un pisolino e l’altro, ma sono certo che la trasformazione innanzitutto debba cominciare da noi stessi, tutto il resto è collegato.
Se quello che abbiamo fatto finora ha portato a questo che stiamo vedendo e vivendo, dimostra che allora è inutile continuare sullo stesso percorso. E’ necessario trovarne uno alternativo.
Sono convinto che sia giunto il momento di rischiare molto per ottenere altrettanto; del resto non è continuando a lamentarsi che si cambiano le cose, e le cose vanno necessariamente cambiate. La paura e la repressione formativa, e non solo queste, sono le armi che ci vengono puntate contro, e pare che fino a questo momento stiano avendo il loro esito.
Ho fiducia nell’essere umano, anche se in questo momento storico l’unica cosa che abbia o sia degna di attenzione è l’apparenza, o meglio l’apparire, ma mai come ora è giusto citare il famoso e strausato detto “l’apparenza è alquanto ingannevole”.
Sembra che in pochi abbiano voglia di scavare oltre la superficie. Esistono oggi realtà oggettive fragilissime, che alla fine inevitabilmente si frantumeranno, o meglio si autodistruggeranno.
L’ennesimo Colosso di Rodi o Vitello dai piedi di balsa.
La maggior parte delle persone in questo momento ha paura, in generale, per diversi e talvolta ragionevoli motivi.
Per stare meglio si tenta in ogni modo di sfuggire questo sentimento invece di affrontarlo e capirne le origini. E la soluzione sta proprio lì, nel prendere di petto le nostre paure e affrontarle, e nell’essere meno individualisti.

Intervista curata da Cristiano Mattia Ricci

Nota

Maurizio L’Altrella è nato a Sesto San Giovanni (Milano), e qui vive e lavora.
Espone dal 1989 in Italia e all’estero.
Questi alcuni degli eventi artistici e culturali che lo hanno coinvolto:
-
Art Card, collettiva a cura di Hisham Al Madhloum, Sharjah Art Museum, Sharjah (Emirati Arabi Uniti)
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Di cielo in cielo, performance collettiva a cura di Laboratorio Alchemico, piazza del Duomo, Milano
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Festival delle lettere, collettiva a cura della galleria Dep Art, Teatro Dal Verme, Milano
-
FIGURATIV-ISMI, collettiva a cura di Siva Le Duc, in collaborazione con Artificio-Lab Artecontemporanea, presso Oldoni Grafica Editoriale, Milano
-
KINGS ZINE # 1 LIFE, collettiva a cura di Guia Cortassa, presso lo spazio Assab-One, Milano
-
Viaggi interstellari, collettiva a cura di Siva Le Duc, presso Atelier d’Arte Colette, Lecco
- personale a cura di Bianca Maria Rizzi, galleria Bianca Maria Rizzi, presso Art Cafè Gallery, Dobbiaco (Bolzano)
Da segnalare il sodalizio artistico che dal 2001 lo ha portato a lavorare frequentemente in collaborazione con Luca Trevisan e Marco Cadioli, sotto il nome di Spazi Residui.
Un’esperienza che L’Altrella ritiene inoltre di grande rilievo nella sua attività artistica è la conoscenza con l’editore Alberto Casiraghy, per le cui edizioni a tiratura limitata
Pulcinoelefante ha realizzato, insieme allo scrittore Simone Riva, il volume Dentro (aforisma di Simone Riva, disegni originali di Maurizio L’Altrella).
http://www.myspace.com/blutopo
http://it-it.facebook.com/people/Maurizio-LAltrella/1812604306


Stefano Reboli 



La realtà irreale
di Stefano Reboli

Fotografare è un'azione soggettiva.
Nell'immagine di una verità non esiste verità.
Esiste piuttosto un'immagine della verità.
Quell'immagine è il pensiero del fotografo.

Quello che rende speciale un luogo, una situazione, una realtà, è il proprio punto di vista. In questo senso il fotografo condiziona la realtà. Il fotografo è un filtro che rende piatta una struttura multidimensionale. Il fotografo stampa il suo punto di vista.

Scattiamo un'immagine di una verità: l'immagine che il fotografo ha di una realtà, immagine che per definizione non può coincidere con la verità. Nessuna fotografia sfugge a questa regola perché è un vero artificiale. Non esiste fotografia-verità. Qualsiasi immagine di una verità è parziale, pertanto falsa.

Esiste dunque un'immagine della verità la cui forma dipende dal fotografo. Filtro, punto di vista, il fotografo compone una seconda realtà, la sua. La vede attraverso un aiuto artificiale, già foglio. Ne imprime l'immagine.

La fotografia è magica. Sfiora la musica. Rende visibile il pensiero. Il fotografo può condividere una memoria nel silenzio di forme e colori. Il fotografo può stampare il suo pensiero.


Magic Kathmandu
di Stefano Reboli

In un disordine di persone, cose, suoni, odori, è difficile distinguere. Trovare una vena e riuscire poi a seguirla, esaurirla. Un pensiero forte acuisce i sensi e mette il fotografo nella condizione di distinguere quella realtà. Di isolare una verità e quindi di fotografarla.

È un esercizio mistico, vedere l'irreale. Cercarlo nel banale e tradurlo in immagine. Scoprire che nell'apparenza esiste un pensiero profondo, il tuo pensiero, è magico. Poterlo guardare è una allucinazione. Paradossale fotografare una realtà irreale.

Kathmandu è stata negli anni '70 il paradiso degli hippies. Un gruppo di freaks occidentali ha dato vita a una piccola comunità intorno al Jhhochen Tole, l'ancora esistente Freak Street. Le droghe alteravano la loro realtà. L'ultimo sopravvissuto è morto qualche anno fa. Un trip a Kathmandu rimane una esperienza mistica.

Nota

Stefano Reboli, fotografo, vive e lavora a Milano. Viaggia costantemente per il mondo con la sua macchina fotografica, producendo immagini e storie da quindici anni. Stefano è un socio fondatore della neonata
The World in a Photo, un’agenzia fotografica che organizza anche workshop e viaggi fotografici. La prossima PHOTO EXPEDITION sarà nell'inverno del Giappone, nel gennaio-febbraio 2011.


Luc Fierens

- Luc, tu sei sulla scena artistica dagli anni Ottanta: oltre a essere poeta visivo, sei anche un profondo conoscitore della mail-art. Sul tuo sito http://www.vansebroeck.be/ hai scritto: "La mail-art non è morta, lunga vita alla mail-art". Quanto è cambiata, negli ultimi dieci anni, questa forma di espressione artistica? In che modo riesce a rinnovarsi?
La mail-art negli ultimi dieci anni è stata influenzata da Internet, e viceversa. I primi artisti di questa corrente usavano il web solo per far conoscere i propri lavori. Ma ora i mail-artists impostano direttamente i progetti attraverso i blog, benché si facesse mail-art anche con mezzi pre-Internet (BBS, fax, networks). Il primo forum online di discussione sull'arte è stato Fluxlist, ed era promosso/utilizzato da mail-artists e dagli artisti Fluxus dell'ultimo periodo. Quindi la mail-art ha modificato online i propri strumenti. Cosa contribuisce al rinnovamento? Una comunicazione più veloce nell'organizzazione di un progetto, come per esempio ABAD, un postcardproject di M. Rose in onore di R. Johnson - http://abookaboutdeatharchive.blogspot.com/ - in esposizione nella galleria di Emily Harvey a New York nel settembre 2009 e ora in viaggio per il mondo. Oppure l'attiva comunità italiana di mail-art, online su http://dododada.ning.com/.

- Qual è stata l'importanza di Fluxus per l'arte? Quanto ha influenzato il tuo lavoro? Che eredità ha lasciato questo movimento artistico?
Fluxus ha dato forma al processo della comunicazione come arte. La maggior parte dei primi artisti Fluxus ne ha gettato le fondamenta in molti campi: Nam June Paik (video), Charlotte Moorman (festival d'avant-garde), Ken Friedman (la prima collettiva aperta, l'Omaha Flowing Systems, è stata un modello per le esposizioni di mail-art) e Ray Johnson (add-on mailings).
Dick Higgins ha lanciato il termine "intermedia". E' una prospettiva visionaria sull'arte non ancora capita dai moderni curatori, che la stravolgono nel marketing e in enormi biennali. Il modo "fluxus" di concepire l'arte connessa alla vita = attività umana come attività artistica.


- Parlaci dei temi principali che attraversano i tuoi lavori più recenti.
Interrogare la realtà politica e sociale attraverso lo straniamento delle immagini; stratificazione della memoria: combinare/giustapporre immagini dal passato, dal presente e dal futuro; ricerca dell'essenza "originale" dell'immagine, piuttosto che dell'effetto "vintage" o dell'operazione di "recupero" artistico via Photoshop; interrelazione con gli artisti della comunicazione del mondo intero, ad esempio a novembre del 2010 con l'esposizione Sboccato nell'U-manspace di Rovereto, o progetti futuri di collegamento con "mouvements" come il Collage de Pataphsysique (Tania Lorandi), o i rapporti con il Fluxism (i miei Postfluxpostbooklets fin dal 1987).




- Prima di essere mail-artist, sei stato poeta e poi poeta visivo: lavori ancora con la poesia visiva? Che peso ha per te la parola scritta?
Sì, nasco come poeta sperimentale, sotto l'influenza dell'avanguardia belga (Van Ostayen). Ma dopo poco mi sono rivolto alla poesia visiva. Ora, fin dagli ultimi anni Novanta, mi dedico alla mia re-poesia visiva, un movimento italiano di poesia visiva che era/è conosciuto come determinato, politico e anti-pop a causa della sua attività di guerriglia semiologica (E. Miccini). Non ritengo questo modo di vedere fuori moda, invecchiato o ripetitivo, ma anzi lo ritengo assolutamente CONTEMPORANEO. La maggior parte degli eventi politici odierni hanno una forte somiglianza con quelli degli anni Sessanta. La protesta, i cambiamenti sociali, la crisi (anche quella degli anni Ottanta), il potere dei mass media… solo i nomi delle multinazionali sono cambiati, ma i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri più poveri. Perciò il poeta deve cercare di cambiare il mondo per sé e per gli altri. Questa visione utopica è parte del mio concepire/fare arte, in quanto provocatore attraverso il mezzo del collage. La poesia visiva va oltre il collage. Il collage è stato recuperato attraverso/come "timbri, arte postale e album di ritagli". Quindi re-poesia visiva è uno strumento/modo dell'arte/vita di aggredire la realtà. Nei miei poemi visivi uso la parola scritta. La parola interroga le immagini e rende visibili gli strati. Di segni da leggere o guardare.

- "La mail-art è una passione che costruisce un sogno". Cosa pensi del mondo di oggi? Ti piace? E' ancora possibile, oggi, costruire un sogno?
Senza la mia "esperienza" nella mail-art non sarei potuto essere l'artista che sono. La mail-art ha cambiato la mia vita. Le ha dato una direzione. Ho cominciato a scambiare lavori, piuttosto che a venderli. Ho incontrato nel loro paese persone che non conoscevo, senza fare del turismo. Ho costruito amicizie e partecipato a gruppi ben prima di Facebook, e questi legami durano da 25 anni. Perciò, sono attivo grazie a questo "network", a questa "rete". Senza di loro non potrei esistere. Nel novembre 2011 avrò un posto da ricercatore alla Emily Harvey Foundation di Venezia. Ho incontrato Emily due volte (a New York e a Venezia) e sono grato alla sua fondazione per il riconoscimento dei miei 25 anni di esperienza in questo campo. Quindi: sì, un sogno può avverarsi. Il mondo di oggi ha bisogno di sognatori/artisti, non di venditori/artisti, e perciò… continuo a combattere. Grazie.

Intervista curata da Cristiano Mattia Ricci

Nota

Luc Fierens dal 1984 è uno degli artisti belgi della nuova generazione più attivi nel campo della mail-art e della poesia visiva. La sua produzione spazia dal collage all’installazione, dai libri d’artista ai poemi oggetto. Dal 1993 lavora con la moglie Annina Van Sebroeck. Vive e lavora in Belgio ma ha costruito negli anni un network di collaborazioni internazionali con artisti Fluxus, neo-dada, performers e poeti sonori e visivi che si estende dall’Europa agli Stati Uniti.

http://www.vansebroeck.be/fierens-mailart/WELCOME.html
http://www.flickr.com/photos/23777629@N05/



Stefan Tschurtschenthaler



- Da due anni la tua ricerca artistica ti ha portato a utilizzare la fotografia. La serie in progress Urban graphics mi fa pensare ad alcune pratiche del Nouveau Réalisme. Allora, certa pittura s'interessava appunto ai segni urbani, con opere a decollage di artisti francesi (Raymond Hains, Jacques Villeglé) e italiani (Rotella); mentre la scultura, sempre meno tradizionale, andava arricchendosi di tavole apparecchiate e consumate dai pasti (Daniel Spoerri) o di energici insiemi di carrozzerie (César).
L’arte mostrava nuovamente la viva materialità e i segni della vita moderna, prima nelle gallerie e solo successivamente nei musei.
Tu oggi ne ripercorri con la fotografia l'attenzione; con una libertà forse meno ideologizzata, e facendone a mio avviso un fatto quasi pittorico.
Una libera e ampia passeggiata con la fantasia, tra le cose della vita e dell’arte.
Durante il processo evolutivo della serie Urban Graphics, la quale fra l’altro sta crescendo a tutt’oggi, sono emersi in particolare due filoni tematici: floor e wall.
Floor consiste in una raccolta fotografica “minimalista“, mediante la quale cerco di affrontare la tematica del ritratto di diverse tipologie di pavimentazioni, ridotte alla loro essenzialità. Nascono così delle serie di ritratti, in cui comuni spazi urbani come vie, piazze, passaggi commerciali, zone pedonali oppure aeroporti e stazioni, ridotti a frammenti grafici di porzioni di superficie, di percezione orizzontale come la pavimentazione stessa; vengono raffigurati in modo astratto, e reinseriti in un nuovo contesto di lettura sensoriale del reale, attraverso la loro unione seriale. Vorrei in questo modo riordinare e riproporre la usuale sintassi urbana. La mia attenzione principale si basa alla fine sulla variazione e modificazione del punto di osservazione di alcuni elementi in un’estetica reale e quotidiana ovunque presente, che non viene quasi mai assimilata in modo consapevole.
Wall invece affronta il tema attraverso la superficie verticale. Qui, per esempio, vetrine temporaneamente non utilizzate o spazi per le affissioni, colmi di tracce di mezzi di comunicazione già da tempo perduti, come graffiti rifatti uno sopra l’altro o frammenti di manifesti parzialmente strappati o, in altri casi, anche solamente frammenti di muri semplici, divengono protagonisti. In queste serie fotografiche l’elemento “tempo” viene reso visibile attraverso segni parziali di comunicazione urbana, apparentemente invisibili ed insignificanti. Basandomi sulla mia soggettiva sensibilità visiva, sto collezionando e archiviando tantissimi campioni e frammenti, nati in tempi fra di loro diversi. Residui di informazioni non più attuali e coerenti vengono così focalizzati e posti volontariamente su di un nuovo livello.
Questo tipo di ricerca mi consente di portare un’estetica apparentemente senza qualità su un nuovo livello, e con questo di attribuirle nello stesso tempo nuovo peso, attraverso un punto di osservazione diverso da quello abituale. D’altronde così può nascere una sorta di poesia del quotidiano (divenire).




- Quale fotografia ti ha suggestionato ed è diventata parte del tuo immaginario? Descrivimi semplicemente qualche immagine fotografica che ha avuto per te un particolare significato.
Devo ammettere che non ho presente delle immagini isolate che mi abbiano colpito in particolare. Sono quasi sempre interessato a dei punti di vista concettuali. Un esempio per me abbastanza importante potrebbe essere il lavoro fotografico di Walter Niedermayr. Anche quello totalmente diverso di Wolfgang Tillmans però, nel quale trovo molto affascinante la poesia che molte delle sue fotografie portano in sè. Anche la fotografia concettuale di Thomas Demand alla fine non è meno interessante per me. Questi tre esempi di arte fotografica sono assolutamente diversi fra di loro, però non potrei dire di preferirne uno all’altro. Tutti e tre mi colpiscono; in modo diverso, ma ognuno di loro rappresenta una forte fonte di ispirazione.


- Cosa ti piace dell'arte attuale? Cosa ti emoziona?
Mi piace l’alto grado di diversificazione nell’arte attuale. Anche il fatto che per l’arte non esistano più confini. In tutto il mondo l’artista ormai ha molte possibilità di studiare, di lavorare, di connettersi con altri artisti, di svilupparsi e di presentare il suo lavoro a un pubblico interessato. Mi piace l’internazionalità e anche il carattere globale dell’arte attuale. Trovo emozionante il fatto che per via dei nuovi mezzi di comunicazione l’artista e il suo lavoro possono essere notati contemporaneamente su diversi continenti. La strada da fare per ognuno naturalmente non è diminuita, unicamente per l’artista sono aumentati gli incroci e le direzioni possibili da intraprendere.

- Come nasce la serie Colourfields? Cosa nascondono questi campi lievemente mossi e quell’intenso colore, a tratti abbagliante?
Colourfields ha una storia molto semplice. Collezionando immagini per Urban graphics ho notato che tutti questi frammenti di colori, testi e fotografie, a volte anche molto piccoli, che alla fine sono i veri protagonisti della composizione stessa nell’immagine, non vengono notati con l’importanza che gli spetterebbe. A questo punto ho tentato di concentrare la ricerca più in profondità e ho iniziato a fare dei ritratti nel ritratto. Vuol dire che ho iniziato a fotografare solamente il colore di dettagli, a volte piccolissimi, all’interno di immagini molto più grandi. Così questa serie, che fra l’altro sta anch’essa continuamente crescendo, comprende semplicemente fotografie di “colore”. Per dare un esempio di lettura di queste fotografie, si può dire che non si tratta di una “foto rossa”, bensì di una “fotografia del colore rosso”. Anche in questo caso per me rimane molto importante il concetto della serie.


- Tribuna Maia è probabilmente la prima delle tue indagini fotografiche sugli interni. Puoi parlarcene?
Questo progetto è uno dei pochi da me realizzati che siano in sé chiusi. Infatti si tratta di una sorta di archivio di uno stato presente, che oramai ha i giorni contati. Il luogo è l’interno delle tribune dell’ippodromo “di Maia” a Merano, la città in cui vivo. L’ippodromo stesso è uno dei più importanti e rinomati d’Italia ed è a tutt’oggi in piena funzione. Siccome le tribune fra non molto verranno totalmente ristrutturate e rinnovate, non volevo perdere l’occasione di archiviare qualche immagine di questa struttura e architettura così interessanti. La patina che ricopre questi muri scomparirà e gli anni di vita passati, che per ora possono ancora essere percepiti camminando lentamente attraverso questi spazi vuoti, non torneranno più palpabili.
Sul mio sito ho inserito solamente 30 immagini, la serie completa comprende 150 fotografie.

- Il Cerchio Azzurro è un luogo dove le arti si intrecciano e la curiosità si rafforza vagando dall'una all'altra disciplina artistica. Che rapporto hai con le altre arti? Cosa più ti piace?
Come tu sai, da circa due anni il mio interesse è concentrato quasi esclusivamente sulla fotografia. Devo dire, però, che si tratta di un fatto temporaneo, e che la fotografia a tutt’oggi rappresenta solamente una parte della mia attività e del mio interesse. Da sempre mi esprimo contemporaneamente attraverso mezzi espressivi diversi fra di loro, quali la pittura, gli oggetti, o anche le installazioni. Ho quindi un rapporto molto stretto con le altre arti. Ho sempre cercato di non dividere le diverse forme di espressione in categorie a sè stanti, ma di vedere il tutto come un unico linguaggio globale.
Ci sono molti grandi artisti nell’arte contemporanea che mi colpiscono.
Maurizio Cattelan, Felix Gonzales Torres, Luise Bourgeois, Thomas Hirschhorn, Anish Kapoor, Rudolf Stingel, Erwin Wurm, Sigmar Polke, per farti qualche nome. Per di più c´è una grande folla di giovanissimi artisti molto interessanti, che con la loro freschezza espressiva ormai stanno conquistando il mondo dell’arte. Anche qui nella mia provincia si possono trovare diverse posizioni molto interessanti, come per esempio Thomas Fliri, Hubert Kostner, Thomas Eller, Elisabeth Hölzl, Peter Senoner, Stefano Bernardi, Arnold Mario Dall’O, per nominarne qualcuno.

- Trovi stimolante la realtà attuale del nostro paese? C’è sensibilità per la cultura, nella zona in cui operi?
La realtà attuale in Italia da una parte è molto sconcertante, basta pensare al governo attuale, che di anno in anno sottrae sempre più denaro pubblico al campo della cultura. D'altronde però, cercando di vederla da un lato positivo, in questo modo l’artista è costretto a servirsi della sua creatività non solamente nel processo creativo del suo lavoro, ma anche nella ricerca della via adatta per sopravvivere senza sostegni pubblici. Per quanto riguarda la sensibilità per la cultura, nella mia zona, che è l’Alto Adige, posso dire che non manca veramente. Le iniziative culturali in tutte le discipline sono molte, il denaro pubblico non è poco. Chiaramente dove è in gioco denaro pubblico, ci sono anche sempre i problemi della giusta e corretta distribuzione dello stesso. Penso che questo problema non sarà mai e da nessuna parte risolto fino in fondo. Resta il fatto che teatri, musei e gallerie di qualità qui nella mia zona ce ne sono, e che i rispettivi programmi sono arrivati a livelli internazionali da non ignorare.


- Ora possiamo tornare indietro. Cosa c'era nel tuo lavoro prima della fotografia? Raccontaci qualcosa del tuo percorso artistico.
Ho incominciato il mio percorso con la pittura, per poi dopo pochi anni arrivare al lavoro con materiali semplici come la cartapesta, la cera, la fuliggine, il piombo, la gommapiuma o anche il plexiglas. Sono questi i materiali con i quali ho realizzato i miei oggetti e quadri-oggetto e anche le installazioni per un periodo di circa 15 anni. Durante questo tempo la fotografia è stata sempre usata parallelamente, come una sorta di allenamento sensoriale. Ora però anche la fotografia è diventata un mezzo importante di espressione per me. E' questa la ragione per la quale negli ultimi due anni mi sono concentrato quasi esclusivamente sulla realizzazione di progetti fotografici, il che non significa che mi sto fissando in una direzione soltanto. È che al momento sento che questo mezzo mi porta attraverso un campo molto ampio e interessante, e vorrei arrivare ancora molto più in fondo alla strada.


Intervista curata da Cristiano Mattia Ricci

NOTA

Stefan Tschurtschenthaler nasce a Cermes (Bolzano) nel 1961. Compie i suoi studi a Merano, città dove a tutt'oggi vive e lavora, e dal 1986 approfondisce i suoi interessi per la pittura e la fotografia.
Le sue prime opere sono del 1992; da quel momento, gradualmente, nei quadri il colore viene sostituito con altri materiali, quali il piombo, la cera, la pasta di carta e la plastica. In parallelo vengono realizzate anche le prime serie fotografiche.
Dal 1995 si dedica inoltre all'installazione e realizza lavori concettuali.
Tiene regolarmente mostre personali in Italia e all'estero.

http://www.stefantschurtschenthaler.com/
http://www.meranergruppe.it/it/header/news/browse/3.html
http://www.freiraum-k.net/?content=/about_new/it

Cristiano Mattia Ricci (Cesena, 1973) è artista visivo e poeta. Ha fondato nel 2000 il Cerchio Azzurro.
http://www.cristianomattiaricci.com/